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Jancsó, Miklos.

Regista cinematografico ungherese. Formatosi nel difficile contesto di un'Ungheria ancora feudale, poi in guerra e infine socialista, visse anche la rivoluzione del 1956 che lasciò ai suoi lavori la costante tematica dei rapporti fra potere, rivoluzione e repressione. Frequentò dal 1946 al 1951 l'Accademia d'arte cinematografica, realizzando cortometraggi e documentari di scarso interesse. Affermatosi con Il mio cammino del 1964, autobiografico, problematico e metaforico, già assai lontano dal "realismo socialista" allora cinematograficamente imperante, J. si espresse compiutamente con la trilogia I disperati di Sandor (1966), L'armata a cavallo (1967) e Silenzio e grido (1968). In essa dominano le tematiche storiche, pur affrontate con un occhio al presente e uno stile severo, di straordinaria forza espressiva, caratterizzato da un uso magistrale del cosiddetto "piano-sequenza". I primi segni di un'involuzione di sapore manierista si notano tuttavia in L'agnello di Dio (1970), La pacifista (1970) e Salmo rosso (1972). Stabilitosi a Roma, J. si dedicò a una serie di opere di soggetto storico, realizzate per la televisione italiana (La tecnica e il rito, 1972; Roma rivuole Cesare, 1973). L'esito positivo di Elettra amore mio (1975), non trovò conferma per la critica nei successivi film Vizi privati, pubbliche virtù (1976) - discutibile ricostruzione della morte dell'arciduca Rodolfo e della sua amante a Mayerling - e Rapsodia ungherese (1979). Nel 1981 J. diresse Il cuore del tiranno ovvero Boccaccio in Ungheria e nel 1988 L'oroscopo di Gesù Cristo. Nel 1990 ottenne il Leone d'Oro di Venezia alla carriera (n. Vac, Transilvania 1921).